Confessioni di un ritardatario:
Internet, che bella cosa per gli artisti.
Soprattutto quelli che sono stati allevati negli anni novanta.
In che senso?
Quali artisti?
Quelli ingenui.
Io sono uno di loro, uno di quelli arrivati sempre un po in ritardo su tutto.
Facciamo un tuffo nel passato.
1990. Avevo all'incirca 13 anni e ho fatto un giuramento con me stesso: dovevo diventare un fumettista. Non era difficile desiderare di diventare un cartoon artist (si chiamavano così ai tempi) dato che i fumetti li trovavi in tutte le edicole. Mai in bella vista, ma sul retro, negli angoli bui, vicino alle riviste pornografiche. Probabilmente un acquirente di riviste zozzone, per nasconderle, comprava anche un fumetto e per nascondere il fumetto, un quotidiano bello grande che faceva da contenitore per tutt'e due.
Fatto sta, io mi bombavo di fumetti. Tanti fumetti, troppi fumetti. Tutti i fumetti, quelli italiani di qualsiasi sorta ed i supereroi. Poi arrivarono i manga, iniziai bene, ma poi non riuscì a starci dietro economicamente e ho finalmente cominciato a diventare un pò più selettivo. Diciamo che il manga ha salvato il mio conto in banca.
Gli anni novanta, ammettiamolo, non sono stati un gran che a livello della qualità delle storie. Si puntava alla spettacolarità. Un esempio tra tutti era la Image, però questa è un altra storia. Voglio solo inquadrare il periodo storico. Avevo 13 anni e per la prima volta rimasi in ritardo. Fare il fumettista, ai tempi, era una professione come lo è ai tempi nostri: non è una professione.
In una decina d'anni, sino al 2000 circa, ho fatto un percorso che parte di geometri, glissa sul liceo artistico e finisce nell'Accademia di Belle Arti. Giusto nell'ultima parte scolastica (si, sottolienao scolastica) sono stato istruito da dei professori e/o docenti sin troppo vecchi. Quelli alla fine delle loro esistenze artistiche, che per forza di cosa, cercavano di tramandare la loro ottica di questo mondo, appesantita da un gap generazionale troppo grande. Io dovevo diventare un artista che deve fare gavetta fino ai quarant'anni, che doveva fare delle cose di ricerca senza la ricerca, che doveva esprimere cose incapibili, che doveva esporre fuffa nelle gallerie. Ricevevo delle nozioni vecchie per un mondo congelato. Ma il mondo non rimase congelato. Arrivò internet.
In Accademia internet era una bestemmia. Quelli più grandi di me che si interessavano alla grafica e che cominciavano a fare dei siti (ai tempi pagati moltissimo) erano dei venduti. Erano quelli che avevano già rinunciato a fare l'artista come si deve ben prima di averci provato. Io il computer lo odiavo, era il veicolo del Demonio. Io volevo fare tutto manualmente, io volevo rimanere puro.
Per la seconda volta volta rimasi in ritardo.
Il mondo dell'arte cominciò a schifarmi e decisi di puntare tutto sul fumetto e per la terza volta, recidivo, rimasi in ritardo.
Tornai a casa, cominciai con l'autoproduzione, acquistai un computer, me ne innamorai perdutamente giusto in tempo per scoprire che il mercato era sovraffollato di "grafici della domenica". Quindi quello sbocco lavorativo nuoceva soltanto a tutta la categoria. Testardamente continuai con il fumetto e feci un bel percorso che giunge ai tempi nostri. Nel frattempo sono diventato una sorta di disilluso che continua a sorprendersi. Uno che mescola mezzi, che non si oppone alla novità, che cerca di continuare a studiare costantemente per rimanere aggiornato, che a volte ci azzecca e che a volte sbaglia clamorosamente. Uno che quando va "avanti" e sperimenta non si accorge di anticipare i tempi, ma quando rimane in ritardo lo nota subito.
Probabilmente perchè il rimanere indietro, in ritardo, dedicare l'esistenza a mezzi già defunti come la pittura e il fumetto, sono le cose che conosco di più.
E internet?
Che c'entra?
Senza di esso non sarei mai tornato a Bolzano. Senza di esso non farei le cose che attualmente sto faccio. Senza di esso non potrei mai massimizzare i tempi di produzione. Sta di fatto che la rete non ha fatto bene alla mia perenne sensazione di ritardo. L'ha aumentata. Naturalmente, per paradosso, ora sto facendo e producendo di più.
Inoltre, quando uno degli affanni che mi sono stati inculcati sin da piccolo (quelli scolastici) è quella di sopravvivere alla propria gloria e fama. Oggi invece non puoi neanche morire in anonimato.
Joe Kubert (18 settembre 1926 – 12 agosto 2012) fai buon viaggio.
Il mio è solo uno sfogo egoistico.